Uomo fallito – Fallito è colui che – Persone Fallite – Chi è un fallito
Sempre più spesso nel mio lavoro mi trovo ad aver a che fare con la parola “fallimento”.
“Dottore, mi sento un uomo fallito”; “Dottor Munaro, ho fallito in tutto”.
Se anche tu ti senti così, se anche tu vivi nella convinzione di essere un fallito e che altro non potrai combinare nella tua vita che fallire di nuovo, ti invito a leggere queste mie considerazioni
Sono consigli generici ma che ritengo molto utili, se non altro per aiutarti a superare il primo scoglio: trovare il coraggio di chiedere aiuto.
Posso affermare in tutta franchezza che in questi casi il supporto di uno Psicologo Psicoterapeuta competente può essere sicuramente d’aiuto, e che solo conoscendo la storia individuale si possa impostare un percorso per uscire da queste pericolose sabbie mobili.
Fallimento. Fallito è colui che …
Cos’ è il fallimento? Esiste come qualcosa che ha vita propria?
Esiste un fallimento senza colui che affermando “mi sento un fallito” lo definisce così?
E se il fallimento e colui che lo definisce come tale fossero parte dello stesso sistema?
Qualcuno ha detto che la bilancia pesa la pepita d’oro ma questa a sua volta definisce la bilancia.
Forse il fallimento prende forma mentre viviamo? Forse nasce dal giudizio?
Fallimento e giudizio
Il giudizio che diamo di noi stessi nasce nel momento in cui abbiamo bisogno di un riferimento stabile, che ci dia sicurezza. Allora ci creiamo l’illusione di un sé che ha un valore.
Penso che sia la nostra narrazione culturale a far emergere un “io” pieno di paure.
Un “io” abituato a giudicarsi.
Forse invece di voler raggiungere chissà quale obiettivo per adeguarci a questo giudizio
sarebbe più intelligente investire il tempo per liberarci da questa follia.
E’ come passare tutta la vita a diventare il più ricco dei ricchi, che equivale a diventare il più povero tra i poveri.
Abbiamo imparato a cercare una verità esterna a noi, immutabile, oggettiva, che ci trascende.
E lei ci giudica con gli stessi occhi con cui noi la giudichiamo.
Amiamo giudicarci per capire chi siamo.
La verità è che non esiste alcuna verità che vive al di là di noi stessi, perché tutto prende forma nell’atto di viverlo. Possiamo conoscere la nostra vita solo vivendola.
E per viverla dobbiamo andare al di là del giudizio che è solo un grande limite umano.
Io amo i dislessici, i fragili, chi inciampa e chi soffre, chi non ce la fa a tenere il passo.
Chi è un fallito?
Osservo le onde dei fiumi e vedo che nascono dalla trasformazione, dal movimento.
E’ il movimento della montagna attraverso il quale i ghiacciai si sono sciolti e sono diventati fiumi e laghi in un continuo fluire, incessante.
Se tutto fosse stabile, senza cambiamenti, questo fluire si fermerebbe e con esso la vita sulla terra.
Ci sono trasformazioni che sembrano errori, sbagli della natura, imperfezioni, deformazioni, fallimenti. Invece è il dinamismo del divenire in ogni forma di vita.
E come in ogni dinamismo ci sono ostacoli, tentativi falliti, fallimenti appunto.
Il fallimento, il movimento e lo sbaglio sono il motore della crescita.
Lo sbaglio piega la rigidità dello scorrere inesorabile del tempo e rende la vita soffice, permeabile alla trasformazione .
Crea spazio per la crescita, per l’evoluzione.
E’ come il vento che rompe l’equilibrio tranquillo del bosco, scuotendo gli alberi, ma è proprio questo che fa risuonare la musica dei boschi, sparge i pollini e i semi, mescola i profumi, diffonde i richiami odorosi della stagione degli amori. Questo apparente disordine diventa nella vita del bosco energia dinamica e lo mantiene vivo.
Un apparente disordine in realtà è l’origine di una più profonda armonia vitale.
Anche le vite umane sono attraversate dall’energia che il flusso della crescita porta con sé necessariamente. A volte questo flusso è violento proprio come un uragano.
Penso ad esempio al fallimento della mia famiglia di origine.
Così volevano che lo vedessi, così volevano farmi pensare coloro che , intorno a me, concepivano la realtà come qualcosa di statico. Era la negazione del dinamismo, della trasformazione che fa crescere la vita, sia nella persona sia nella famiglia.
Ti parlo di me, in tutta sincerità.
Erano gli anni ’70 e la separazione dei miei genitori era letta come fallimento. Il fallimento come coppia, il fallimento come genitori, il fallimento di un progetto.
Invece, ma io allora non lo sapevo, era trasformazione.
Pensavo di conseguenza anch’io in modo sbagliato, pensavo con rabbia che tutto ciò fosse una profonda sfortuna.
Desideravo la perfezione della stabilità, odiavo questa trasformazione che la vita mi imponeva.
Il fallimento ci spoglia di ogni arroganza, per questo lo odiamo.
In realtà, dentro tutto ciò, c’era una grande forza: la vita che scorreva.
Mi sento un fallito: sono in grado di sentire la vita scorrere dentro di me?
Cosa se ne fanno le piante, del vento? Il vento che rischia di abbatterle, ma che comunque le scuote e sparge il polline e i semi. Il vento consente all’immobilità della pianta di ‘migrare’ verso un altrove che non potrebbe mai raggiungere.
Pensavo che crescendo nella realtà che mi trovato a vivere, non avrei potuto avere tutto quello che desideravo.
Ma poi ho capito che se avessi incontrato sempre e solo quello che desideravo, non sarei riuscito a conoscere e ad accogliere l’inaspettato, il sorprendente, ciò che non ci si aspetta.
Come fa la vita ad andare oltre i nostri limiti se non spogliandoci di essi attraverso i nostri fallimenti?
Mi sentivo un diverso, probabilmente uno stadio vicino a sentirsi un uomo fallito.
Ma poi mi sono accorto che era solo un modo per nascondermi dalla verità troppo dura da accettare.
La verità è che non ci sono verità stabili e che tutto è in movimento.
Questo crea una possibilità, in cui ognuno ha spazio per costruire la propria vita.
Se la vita avesse un senso compiuto, stabile e fissato una volta per tutte, al di fuori di quel senso non esisterebbe nulla.
Invece è come un foglio di carta a cui puoi far assumere forme diverse, puòi dare forma a quello che vuoi.
La vita scorre e le ferite diventano cicatrici, e quelle cicatrici mi hanno formato.
Mi hanno permesso di guardare oltre la superficie.
Ho visto e riconosciuto le mie sofferenze, ho capito che fanno parte della vita così come tutto il resto che nella vita ci si fa incontro.
Tutto senza escludere alcuna esperienza.
Invece di quardare in faccia le proprie sofferenze si cerca di nasconderle dietro i propri successi, ma è la strada sbagliata perché si butta via qualcosa di sé.
Dio quanto ringrazierò quell’ evento che ha cambiato il corso della mia vita preconfezionata.
Ha piegato la mia mente come il vento piega le canne di bambù.
Ha modificato la narrazione che avevo di me stesso, distruggendo quel falso io che era alla base dei mie malesseri.
La libertà nasce dal fallimento
Sapete cos’è la libertà, da dove nasce.?
Nasce dal fallimento. Il fallimento ci mette esattamente dove dobbiamo essere, al nostro posto, in quel momento, dove nessun altro si può sostituire a noi. E’ la dimensione più profondamente personale e se riusciamo a viverla senza tentativi di fuga, guardandola bene in faccia, ci libera.
Ci libera da ciò che pensiamo di noi stessi. Perché uccide l’ ossessione del proprio ego, di guardarsi continuamente allo specchio per poter dire chi sono.
In Oriente, specialmente in alcune culture come per esempio quella tibetana, il tuo io non vale niente, è un miserabile io e niente di più.
Ciò che conta è la parte più profonda ed immortale che non si chiama più Davide o Alberto.
Non è afferrabile e definibile entro i limiti della nostra persona ma parte della totalità in cui siamo immersi.
Nella nostra mentalità invece siamo ossessionati dal nostro nome ( nama rupa = nome – forma). E così l’angoscia si protrae perché l’io non è infinito e quindi la sua realizzazione è assolutamente limitata ed imperfetta.
Imparare a sbagliare non significa fallire, significa imparare a vivere nella consapevolezza di appartenere a una dimensione che va oltre la nostra limitata esperienza personale.
La narrazione che facciamo di noi stessi, a nostro uso e consumo, crea un “io” falso.
Quel io attraverso il quale pensiamo di osserva il mondo.
Dobbiamo renderci conto che è solo una nostra narrazione.
Pensiamo di narrare il mondo attraverso il nostro io ma in realtà sono i nostri racconti che in qualche modo ci ‘tessono’ come vorremmo essere e sentirci.
La coscienza umana è la nostra individualità narrativa
sono un prodotto dei racconti che noi ci facciamo e non la loro fonte.
Quindi non vi è differenza fondamentale tra l’io creato dalla nostra narrazione e l’io creato da un’ opera di finzione. Se imparassimo a narrare la nostra storia passata , compresi i nostri errori, i nostri fallimenti, cambieremmo il corso della nostra vita.
Chi è un fallito? Chi sbaglia? Fallito è colui che sbaglia?
L’errore ci permette di pensare e il prezzo che paghiamo e la perdita di ogni verità o di ogni risposta.
Un robot è poco intelligente se intelligenza significa vivere ed evolversi in paradigmi e visioni sempre in movimento ma centrate solo su noi stessi. La staticità, la stabilità che a volte desideriamo raggiungere nella nostra vita spesso frammentata e costellata di fallimenti, sarebbe la stabilità di un robot.
Pensare significa poter sbagliare, poter sbagliare è una grande libertà. Ci colloca nella dimensione della possibilità, dove niente è statico ma ogni aspetto può modificarsi.
Poter sbagliare ci consente di vedere l’altra faccia della realtà, quella che non avremmo mai potuto vedere perché non rientrava nella nostra idea di ‘perfezione’.
Sbagliare è come poter vedere il tappeto a rovescio, nella parte nascosta: è solo il rovescio del tappeto che ci fa capire come viene costruito, nodo dopo nodo. Sbagliare ci dà la possibilità di vedere ‘come’ ci costruiamo, attraverso quali intrecci e nodi. Sono i compromessi, i piccoli e grandi fallimenti riconosciuti e accettati che tessono la trama della nostra vita sull’ordito che ci è consegnato originariamente. Trama e ordito sono entrambi essenziali, non esiste struttura se manca uno di essi. La trama sono i nostri fallimenti, se siamo capaci di ‘tesserli’ bene.
Fallire significa poter amare.
La perfezione non ci spingerebbe ad amare perché non avremmo bisogno di nessuno e di niente fuori di noi.
L’ amore lo conosci solo vivendo.
E l’acqua la conosci solo nuotandoci dentro.
E vivere significa, nei momenti opportuni, perdere ogni controllo.
La perfezione è quel palo al quale dobbiamo aggrapparci, che ci ha sempre illuso di darci sicurezza ma che ci trattiene, è come un’ancora che stabilizza ma che allo stesso tempo impedisce di andare avanti.
Imparare a fallire signfica imparare a vivere.
Concludendo…
Solo quando scegli di non guardare quello che sei, troverai quello che sarai.
E ciò avviene sempre attraverso il fallimento, che ti strappa di mano le convinzioni che avevi di te stesso.