Dott. Davide Munaro Psicologo-Psicoterapeuta Brescia
Sono le sette di sera e sono seduto su una vecchia panchina di legno di fronte ad un ruscello che scorre verso il suo destino.
Al mio fianco una pianta di gelso si allunga con i suoi rami verso il cielo bianco.
Mi domando se quello che sto osservando esista indipendentemente da me stesso che lo osservo.
È una domanda molto vecchia lo so.
Forse il problema è la domanda stessa.
Forse è una domanda sciocca.
È come chiedersi se esiste il cielo stellato senza le stelle.
Oppure chiedere se c’è una vita senza la sua fatica.
O un cielo azzurro senza un cielo bianco.
Rifletto su come il frutto della pianta, il gelso, sboccia dalla pianta stessa che lo produce.
Il frutto potrebbe mai nascere al di fuori dell’istante in cui deve nascere?
Potrebbe mai nascere troppo distante dall’anima della pianta stessa?
In realtà un fiore sboccia sempre nel momento in cui deve sbocciare, né un secondo dopo né un secondo prima.
Forse non è mai nato ed è sempre stato.
Così noi incontriamo nel corso della nostra vita ciò che non avremmo mai potuto non incontrare, e ogni passo davanti a noi deve essere parte del passo precedente.
Incontriamo solo quello che possiamo incontrare. Così le nostre orme sono il nostro stesso passo.
Ciò sta a significare che quando nasciamo, nasciamo in un mondo già esistente e quindi non siamo mai in realtà mai nati.
Siamo sempre esistiti e solo poi attraverso il vivere di ogni istante ci siamo differenziati. Come le ali che non possono diventare ali senza il volo.
Non si nasce al di fuori del mondo.
Siamo sempre stati il mondo ancora prima di pensarlo e di prenderne consapevolezza.
Quando la mattina ci alziamo dal letto e osserviamo un’alba in realtà vediamo noi stessi. Perché noi siamo quell’alba, quell’alba si è formata vivendola.
Noi e lei siamo inseparabili.
Eravamo ali ancora prima di volare.
Poi siamo diventati il volo vivendo.
E così ogni folata di vento ci stava aspettando.
Ed ogni foglia secca era destinata ad essere trasportata via.
Ecco perché penso che la nostra storia la possiamo ritrovare nell’istante stesso in cui stiamo osservando quell’alba. Non c’è una nostra storia separata dall’alba che abbiamo vissuto.
Sono la stessa cosa.
Così il raggio di una stella è un fiore.
Non possiamo vedere il mondo direttamente ma solo attraverso il riflesso della vita che abbiamo vissuto.
Sono la stessa cosa.
Perché allora, mi domando, mi hanno sempre insegnato che il mondo è una cosa da scoprire separata da me che la osservo.
Se nasciamo nel mondo e diventiamo il mondo stesso vivendo, allora l’alba muta con noi attraverso il nostro stesso vivere.
Scoprire la vita significa scoprire il nostro stesso camminare. E il nostro camminare non si ferma mai e infinto.
Allora perché mi hanno fatto credere che il mondo era qualcosa che io osservavo al di fuori di esso.
Perché nessuno mi ha mai detto che il mondo è un fenomeno, è un processo di cui io ho sempre fatto parte.
La realtà non è una cosa ma un fenomeno.
Potrò vedere una realtà nuova solo quando io sarò diventato altro da quello che sono. Qual è la strada maestra che mi permette di diventare altro da quello che sono? Quello che chiamiamo errore.
Ecco spiegato perché la vita non va mai come volevamo andasse.
Per liberarci da noi stessi, per essere liberi da noi stessi, dalle nostre stesse credenze.
Per metterci nelle condizioni di andare a scoprire altro da quello che pensavamo essere il mondo.
Che dire di quando osserviamo quell’orizzonte e non sappiamo cos’è?
Questo non sapere ci permette di non avere mai un orizzonte finito ma sempre infinto.
La verità non può esistere perché l’errore ci rende liberi da essa. Liberi da ogni bisogno di catene.
Portiamo l’universo sulle spalle come le chiocciole portano la loro casa e non la sappiamo. Siamo ciechi e sordi.
Allora quando guardiamo il mondo cosa guardiamo?
In verità non c’è nessun mondo da guardare.
Siamo noi il mondo.
La vita si forma un passo alla volta.
Vivendo possiamo andare solo un po’ più in là, ma non sapremmo mai cosa accadrà troppo in là.
Dovremmo fare un salto per saperlo, ma questo salto impedirebbe che dietro ciò che troveremmo, ci siano dei passi.
E quindi tutto ciò che troveremmo cadrebbe in un buco nero.
Tutto ciò che troviamo oltre l’orizzonte non può esistere senza la somma dei nostri passi.
Allora incominciare a cambiare il prossimo passo verso quell’orizzonte è già il miracolo del cambiamento.
Laggiù troveremo la somma di ogni passo.
E un passo chiama un altro passo che si può incastrare al precedente. Così come ogni fiore chiama un ape.
Torno ora ad osservare la pianta di gelso.
Mi domando a questo punto se vedo un gelso o solo il vissuto che ho avuto di lui nella corso della mia vita.
Come posso liberarmi del gelso che vedo se il gelso che vedo è la mi vita?
Non posso.
Ma posso fare di meglio.
Continuare a camminare sapendo che se io cambio il mio passo il gelso aprirà le sue ali per diventare altro.
Perché, come detto prima, non posso vedere qualcosa che non posso vedere a meno che io non diventi altro da quello che sono.
Quindi io e il gelso siamo legati come il cielo e le rondini.
Insomma, io e il mondo danziamo questo valzer dalla notte dei tempi.
Forse solo andando a cercare in lui ciò che non conosco, scoprirò di me ciò che sarò. E ovviamente non posso conoscere cosa troverò prima di trovarlo.
Perché non c’è una cosa da trovare.
Ricordate, la vita è un processo si forma.
Allora voglio provarci.
Osservo un uccellino che mangia i gelsi.
Dopodiché parte per orizzonti nuovi.
Scelgo di non guardare più la frutta del gelso che conosco, quella che prendevo da bambino arrampicandomi sui rami della pianta per mangiarla.
Ora sono orientato ad osservare un uccellino che migra alla ricerca di nuove piante, nuovi orizzonti.
Perché lo fa?
Per necessità. Osservo che in quel volare le sue ali si formano.
Anche le ali non sono una cosa, sono anch’esse in divenire, si formano.
Le ali sono il volo. E non c’è volo senza ali.
Diventano parte del cielo solo volando, solo vivendo.
Se non fosse così sarebbero solo dei prodotti biologici che decadono su sé stessi.
Come i muscoli delle gambe senza il loro vivere smettono di essere i muscoli delle gambe. Quel bisogno di scoprire orizzonti nuovi altro non sono che le nostre ali.
Ecco perché la vita ci porta via tutto attraverso l’errore.
Per farci volare.
Se all’uccellino fossero donati i gelsi, se gli avessero tolto le sue sofferenze sarebbero morti i suoi orizzonti.
Non avrebbe più spinte verso l’ignoto ma anche le sue ali morirebbero. Le ali sono le nostre fatiche di vivere.
“Santo cielo che cosa sto osservando?” mi domando.
Un altro gelso, una nuova pianta.
Certe riflessioni accadono quando devono e possono accadere.
Il cercare nuovi significati in quella pianta mi sta cambiando.
E se io cambio non vedo più la pianta di prima.
Ma cosa ci permette di fare questo?
È spingendoci oltre quello che conosciamo che in realtà scopriremo chi saremo.
È l’errore, la capacità di commettere errori che mi porta fuori dal sentiero e dal mio destino tracciato.
Perché, ricordo, incontreremo solo ciò che siamo.
E quando lo vedrò il mondo nuovo?
Solo dopo essersi formato.
Se osservi il cielo stellato non puoi sapere ora cosa accade in quella stella lontana milioni di anni luce.
Ma basta aspettare e tutto quello che sta accadendo lo vedrai. Più guardi in alto, più guardi indietro.
Il tuo futuro è il tuo passato
Quindi la perfezione è ignoranza e l’errore è la gloria che ci libera da noi stessi.
Dott. Davide Munaro Psicologo-Psicoterapeuta Brescia