Ogni tanto mi capita di incontrare un senzatetto per la strada, è uno di quelli da classico film americano: simpaticissimo, con un gran sorriso sempre stampato in faccia e il suo sigaro.
Mi fermo spesso a chiacchierare con lui e un giorno gli ho detto: “Ti voglio bene”.  Alla sua domanda “perchè?”, ho risposto semplicemente: “Perchè sei diverso”.
Lui si è fermato, mi ha guardato negli occhi e mi ha chiesto: “Diverso da cosa?”
Ecco, con queste tre semplici parole mi ha fatto riflettere come pochi altri hanno fatto. Questa domanda è simbolo di una grande intelligenza. Una domanda di questo tipo rompe un paradigma.

Le diversità ci spingono a guardare oltre le nostre catene

Effettivamente mi guardo intorno, e, guardando le foglie sugli alberi, mi rendo conto che non ne esiste una esattamente uguale ad un’altra. Allo stesso modo, anche noi siamo tutti uno diverso dall’altro, ognuno con le sue sfumature ma vogliamo sempre assomigliarci l’un l’altro. Stando tutti uniti e vicini possiamo raccontarci meglio la verità e costruirci la nostra prigione, la nostra catena e quindi non spostare lo sguardo oltre.

Dopo questa riflessione lo guardo di nuovo e penso al motivo per cui la gente sta lontana da lui: perché non vuole vedere, perché lui è come quella stella mai vista nel cielo stellato che mette in discussione tutto questo grande sapere dell’arroganza umana. Crediamo di sapere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, ce la raccontiamo; poi all’improvviso arriva lui, tutto storto e mette in discussione tutto questo. In un certo senso lui sgretola le nostre verità.
La gente scappa dalla intrinseca consapevolezza che fondamentalmente siamo tutti come lui, che anche lui fa parte del nostro mondo.
E finché non ci sono persone come lui, non potremo mai amare la nostra grande paura: il sapere chi non siamo.

 

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