Fido è un cane. I padroni lo tengono legato da sempre alla catena della sua piccola cuccia. Lui vorrebbe correre libero, incontrare altri cani, fare esperienze… ogni giorno cerca disperatamente di vincere la forza attorno alla sua gola, ma invano. Vorrebbe, non ci riesce.

Non ha mai capito cosa stia sbagliando o se sia davvero quello il suo sogno, o se sia giusto quello che pensa di fare.
È colpa della catena, ma Fido non lo capisce, dopotutto lui è soltanto un cane.
Quella catena, meschina e traditrice, può essere paragonata al perfezionismo. Esso ti permette di vivere solamente in un piccolo raggio d’azione, che conosci molto bene e pieno di sicurezze, in cui l’ignoto non esiste.

La perfezione è in realtà un grande limite

Ti porta ad un’insicurezza perenne, poiché presa una scelta non si è mai convinti fino in fondo della propria decisione. Si sale a cavallo, si imbocca un sentiero, ma ad un certo punto si mollano le redini: perché si sta seguendo questo sentiero?! Se si avesse percorso un’altra strada, magari sarebbe stata la migliore!
È la perfezione che parla.
Ti impone come uno schiavo di considerare tutte le possibili opzioni. Alla fine si riesce di certo a fare una scelta, perché il perfezionista è in grado di vivere anche dei momenti di assoluta convinzione.. ”momenti”, poiché in seguito inizia un turbine di infiniti ripensamenti, che mitragliano il cervello senza tregua. L’unica via per porre fine a questa agonia è l’astensione alla scelta, ma ciò implica lasciar decidere ad altri per la propria vita. Ne conseguono ulteriori ripensamenti e sensi di colpa perché ci si rende conto della propria inettitudine.
Si pensa al passato e al futuro, non al presente, e per entrambi si rimugina solamente sugli errori fatti e su quelli che si potrebbero commettere!
Da tutto quanto detto si può ben comprendere che la perfezione non contempla sbagli: se non si riesce a raggiungere un obiettivo, l’errore è imperdonabile. Ed è appunto da questi indelebili sensi di colpa che non ci si riesce a liberare per costruirsi nuove prospettive; nella maggior parte dei casi ne derivano ansia, pessimismo, scarsa autostima, denigrazione di se stessi da qualsiasi fronte e soprattutto “incapacità di agire”.

Esattamente, perché la situazione a lungo andare diventa quella del “gatto che si morde la coda”

Da un lato se agisci sicuramente commetterai degli sbagli che non puoi permetterti di fare, perché il prezzo da pagare sarebbero omicidi sensi di colpa, ma dall’altra se non agisci ti rimprovererai di non aver preso in mano la tua vita e continuerai a pensare “cosa sarebbe potuto accadere se”, vivendo nei rimpianti.
Ma se si è sempre sentito dire che la perfezione non esiste, allora di cosa si sta parlando? Essa non esiste e non si può raggiungere, in realtà è una creazione della nostra mente, la immaginiamo e per questo motivo siamo portati a darle una forma, a credere che essa esista davvero.

Ma per quale motivo allora le persone sono spinte ad immaginarla? Questa necessità da dove nasce? Ebbene, la perfezione non è altro che la figlia di una delle peggiori paure, la quale forse uccide e mortifica più vite umane della morte stessa: la paura del giudizio degli altri. Si prendono decisioni e si agisce in base a ciò che ci viene dettato dalla società e a ciò che “gli altri” potrebbero ritenere giusto o migliore: sostanzialmente, ragionare in questo modo ti porta a non sapere più chi sei, quale sia il tuo vero io e quali le tue vere inclinazioni. Nell’agire non consulti te stesso, ma interroghi l’ambiente esterno aspettando una risposta giusta per te, ma che giusta non potrà mai essere perché “non tua”.
Prendere come riferimento dei canoni esterni di perfezione da rispettare è come decidere di nascondersi sotto una cupola di vetro riflettente: sei ciò che la società detta di essere, ma sotto la cupola c’è il buio totale.

Sei un completo estraneo a te stesso.

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