Trattieni le lacrime, sei un uomo.
Non farti vedere a piangere, sembrerai un debole.
Solo i falliti piangono, tu non devi farlo.
Quanti di noi hanno sentito almeno una volta una frase simile. Questo è sempre stato un lato della nostra cultura che non ho mai compreso fino a fondo.
Quando eri piccolo, soprattutto se maschio, ti veniva insegnato a non mostrare mai la tristezza. Negare, ecco la parola d’ordine.
Sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa, ma se eri, oppure semplicemente aspiravi a diventare un “vero uomo” dovevi rispedire indietro le lacrime, fare un fagotto della tristezza e spingerla sempre più giù, dove non avrebbe più trovato spazio per riemergere. In tutti questi anni di studio, lavoro e ricerca nel campo psicologico, ho imparato dall’esperienza una cosa: le emozioni represse, prima o poi tornano a galla.
Siamo profondamente spaventati dalle reazioni intense e profonde.
Queste possono farci sentire insicuri e deboli, farci perdere il controllo di noi stessi e avere delle reazioni indesiderate sulle persone che ci sono vicine. La domanda che mi sono posto è la seguente: vale davvero la pena di rinunciare alle nostre emozioni negative per essere socialmente accettati?
La mia risposta? No
Le emozioni, soprattutto quelle negative, svolgono una funzione essenziale per noi esseri umani: ci permettono di condividere un messaggio. Sono a tutti gli effetti uno dei più grandi strumenti di comunicazione che possediamo. Rifiutare di manifestare questi comportamenti e reprimerli è come bloccare il corso di un fiume, prima poi l’acqua rompe gli argini e travolge ciò che la ostacola. Essere tristi è un diritto, piangere è espressione di libertà e permette di riconoscere in noi delle debolezze. Essere cresciuti con l’idea di dover essere eternamente felici e indistruttibili è una delle più grandi presunzioni e bugie dell’uomo moderno. È possibile andare oltre, comprendere che il male è accettabile.
Il dolore è una parte essenziale dell’esistenza e anche la tristezza ha il suo scopo.