C’è un ragazzo che seguo in studio che ha un problema estetico, alla mandibola. Questo lo fa soffrire, lo fa sentire diverso, inadatto. Come tanti nella sua situazione vorrebbe risolvere questa sfumatura del suo corpo alla ricerca di una presunta perfezione. Vorrebbe diventare conforme alla norma, per sentirsi sicuro.
La nostra struttura cerebrale cambia seguendo i nostri atti, il nostro modo di pensare. Muta secondo questo principio. Quindi l’atto onesto di voler vincere il giudizio degli altri rischia di renderci altrettanto giudicanti.
È davvero una soluzione?
Questa sfumatura personale, al netto dei giudizi, è una propria particolarità, una propria unicità. Ma forse è proprio questa caratteristica atipica a permetterci di trovare nella nostra vita altre persone significative, che non la vedano come un problema. Persone che ci capirebbero per quello che siamo. Eliminare queste particolarità non fa altro che inserirci in un discorso di apparenza in cui le relazioni si appiattiscono perdendo l’importanza del reale impatto emotivo, dell’avvicinare le proprie anime. L’esistenza spesso ragiona al contrario.
L’importanza della propria personalità
I robot possono suonare il pianoforte in maniera perfetta, ne sono in grado. Riproducono i pezzi dei più grandi musicisti senza mai sbagliare l’esecuzione, senza perdere una nota. Il tempo è perfetto. Il risultato ascoltato dagli esperti è, però, troppo perfetto, manca di tutte quelle sfumature di personalità che evidenziano lo stile di un grande musicista, manca di anima.
A questo punto l’anima dove la misuriamo? Un musicista di livello suona con la sua storia. Diventa tale quando ha una storia, la sua. Non la puoi scindere da lui. Le note sono le stesse di quelle suonate dal robot, ma il pezzo è vivo, trasuda umanità. Le due esecuzioni portano a risultati molto diversi nella pratica. Se togliamo i pezzi della nostra storia ci spegniamo dentro lentamente, diventiamo solo un freddo corpo senz’anima, perdiamo le nostre sfumature, la nostra unicità.