Per molti anni si è pensato al processo depressivo come ad una alterazione biochimica, una malfunzione. Si sta scoprendo invece che il soggetto è partecipe attivo alla propria depressione.

Si sta scoprendo che la depressione è frutto di processi neuronali alterati, frutto di fattori stressanti, di un sistema che ci sovraccarica e ci impedisce di scaricare.
È come se fossimo sulla linea di partenza di una gara, pronti a scattare verso il traguardo, ma rimanessimo li sui blocchi, sulla punta delle nostre dita, senza mai ricevere il via. Quel via che non arriva mai ci impedisce di scaricare lo stress, di lasciare scorrere le tensioni.
I fattori stressanti sono molti, spesso derivano dalle nostre paure; la paura di morire, la paura che ci accada qualcosa di male, e derivano spesso dalla nostra incapacità di avere un rapporto sereno con la vita, di avere un approccio più umano, filosofico e meno analitico. Il dover tenere tutto sotto controllo ci crea stress, e rischia di trascinarci in un circolo vizioso depressivo.
Non ci siamo resi conto fino ad ora che la situazione biochimica non è l’inizio del problema, ma è un punto di arrivo, una conseguenza ai fattori di stress. Fattori di stress che sono a loro volta legati alla nostra incapacità di dare significato agli eventi della vita.
La depressione è un processo complesso e difficile, che può derivare da situazioni differenti e non deve essere presa sottogamba. Spesso, nella mia esperienza, è correlata però a questo senso di stress e impotenza che ci auto-imponiamo, al significato umano che noi diamo all’esistenza.
Partecipiamo come parte attiva al nostro malessere, ed è importante invertire il processo, mettere in atto un percorso che ci renda nuovamente protagonisti della nostra vita.

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